Parla il fratello di Maria Chindamo: “Ancor prima della giustizia, voglio la verità”

chindamo maria500ansadi Claudio Cordova - Dal maggio scorso è scomparsa nel nulla. Il caso di Maria Chindamo, imprenditrice 44enne di Laureana di Borrello, è sparito dalle cronache nazionali e, spesso, anche da quelle locali. Il cono d'ombra informativo che avvolge la Calabria ha inghiottito anche la storia della donna, che per mandare avanti l'azienda di famiglia si spostava spesso nel Vibonese, a Limbadi, patria della potente cosca Mancuso. Fosse accaduto altrove, forse anche l'attenzione mediatica sarebbe diversa.

Il marito dell'imprenditrice si é suicidato lo scorso anno e da allora Maria Chindamo ha assunto la gestione dell'azienda agricola di famiglia: per questo sul caso indaga da mesi la Procura di Vibo Valentia. L'imprenditrice sparì nella zona di Nicotera mentre era alla guida della sua auto, sulla quale, secondo quanto è emerso dalla indagini, viaggiava da sola. La vettura della donna fu trovata con il motore acceso e all'interno furono rinvenute alcune macchie di sangue, non si sa se appartenenti alla stessa Maria Chindamo o ad altre persone.

Diversi gli elementi che portano gli inquirenti a procedere per omicidio. Ma Vincenzo Chindamo, fratello di Maria, che insieme alla sua famiglia ha in cura i tre figli di Maria – Vincenzino, Federica e Letizia – vuole ancora sperare, vuole ancora che di Maria se ne parli: "Ai miei occhi l'attenzione sembra spenta, ma mi auguro che le indagini stiano andando ancora avanti in una dimensione trasparente per chi osserva e che poi all'improvviso, come spesso succede, venga fuori almeno la verità. La giustizia la metto in secondo piano addirittura perché mette angoscia a me e alla mia famiglia non sapere da chi guardarsi, solo pensare che persone che incontriamo ogni giorno, che magari ci salutano, possano essere coinvolti o addirittura gli autori di questo terribile crimine. Non possiamo quindi essere lasciati in questa situazione che umilia ancor di più rispetto alla situazione umiliante nella quale già ci troviamo".

Una vicenda grave, inquietante, che, ancora una volta, come accade in vari territori calabresi, può contare su un muro solidissimo di omertà: "La gente è impaurita, non ha il coraggio di parlare e non ha nemmeno colpa. Io li giustifico, non è facile parlare quando si immagina di fare una brutta fine. Qui lo Stato deve dare risposte di verità e giustizia per Maria, ma deve dare risposte di verità e giustizia ancora più forti e ancora più esemplari per tutto un territorio che pretende" afferma Vincenzo Chindamo. Eppure, l'uomo racconta di vicinanza morale e umana della gente: "Sappiamo bene che questo non è un territorio dove ci sono grandi manifestazioni pubbliche, la gente non si espone. Ma abbiamo grandi gesti di solidarietà da parte delle persone, anche nei loro sguardi, nella loro vicinanza, ma anche in tante parole. Il territorio in cui ci troviamo è un territorio buono, al di là di qualche marciume".

La gente, sì. Ma non le Istituzioni. Assordante, secondo quanto riferito al Dispaccio da Vincenzo Chindamo, il silenzio degli Enti coinvolti sotto il profilo territoriale nel caso: "Il Comune di Laureana di Borrello e il Comune di Rosarno non hanno espresso nemmeno una parola di solidarietà. Il sindaco di Laureana (recentemente dimessosi dopo lo scandalo dell'inchiesta "Lex", ndr) è amico di infanzia di mio padre, quindi ci vediamo e ci salutiamo, ma non mi ha mai chiesto di questo, il sindaco di Rosarno non so nemmeno chi sia, non si è fatto né vedere, né sentire". Alla famiglia Chindamo, il sostegno "istituzionale" arriva solo dalla Chiesa: "Don Cecè Feliciano ha organizzato una celebrazione in cui si pregava per la soluzione di questo caso, che ho apprezzato molto. Una celebrazione molto partecipata anche con don Pino De Masi, referente di Libera. Siamo stati anche ricevuti dal Papa".

"Politica assolutamente latitante" dice Vincenzo Chindamo. Ma la famiglia non molla: negli ultimi mesi, infatti, sono state consegnate lettere-appello alla presidente della Camera, Laura Boldrini, al ministro per le Pari Opportunità, Maria Elena Boschi, al viceministro dell'Interno, Filippo Bubbico, e alla presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Rosy Bindi.

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Le indagini vanno avanti, anche se gli inquirenti sembrano al momento brancolare nel buio: "Non veniamo ancora aggiornati dagli inquirenti, ma abbiamo contatti diretti e speriamo che le Istituzioni stiano lavorando per risolvere un caso che vogliamo credere che sia solo apparentemente caduto nel dimenticatoio" spiega Chindamo. Eppure la famiglia non riesce a darsi una spiegazione. Non riesce a individuare cosa possa aver spinto qualcuno ad aggredire Maria, a farla sparire, da oltre sei mesi ormai: "Quando ci chiediamo il perché, sbandiamo. Nella vita di mia sorella non ci sono mafie cinesi o chissà quali megatruffe o affari. I conti di mia sorella al momento della sua scomparsa erano 0 e meno 10mila euro, non c'erano nemmeno soldi quindi non è un motivo finanziario".

Un anno fa, il suicidio del marito. Maria voleva separarsi e l'uomo non ha retto emotivamente alla notizia: "Maria – racconta Vincenzo Chindamo - immediatamente dopo il suicidio aveva paura perché la famiglia del marito non aveva accettato la decisione di ma sorella di separarsi. Una decisione cui mio cognato non ha retto, togliendosi la vita e quindi la famiglia ce l'aveva in maniera comprensibile con mia sorella, il suo nome non fu inserito nemmeno nel necrologio. Maria aveva paura, ma poi gradualmente si tranquillizzò facendosi forza, lasciando la professione e dedicandosi all'azienda agricola". Provava ad andare avanti, Maria Chindamo, aveva mantenuto unita la famiglia, con i tre figli e tutto sembrava essere tornato alla normalità: "Nessun segnale di preoccupazione, non abbiamo notato nulla, nemmeno ripensandoci dopo ciò che è accaduto. Lei era sempre più tranquilla, perché iniziava a vedere la luce, era entrata nei meccanismi dell'azienda agricola e stava ricostruendo l'ambiente familiare con i figli. Metteva da parte mattone su mattone, con una famiglia che era rimasta unita", spiega Vincenzo Chindamo.

Una famiglia che ora si trova davanti un'ulteriore, grande prova. Una prova che sta superando con grande forza e grande dignità, chiedendo verità e giustizia per Maria: "I ragazzi hanno alti e bassi, a volte hanno delle reazioni forse anche eccessive, a volte anche l'incapacità di reagire a determinate cose, un comportamento altalenante in cui però noi li sosteniamo a 360 gradi, occupandoci di tutte le loro esigenze. Non è facile"

A procedere è la Procura della Repubblica di Vibo Valentia su quello che, a tutti gli effetti, appare come un caso di "lupara bianca". Al momento, gli inquirenti non hanno ravvisato coinvolgimenti della 'ndrangheta, altrimenti il caso sarebbe finito direttamente sulla scrivania del procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri. Eppure, Vincenzo Chindamo non sembra affatto convinto di questa linea: "Ci è stato detto che la criminalità organizzata non c'entra, ma vorrei analizzare le parole: questo è un crimine che è stato commesso e sfido chiunque a dire che non è stato organizzato, quindi mettendo insieme le parole mi viene da pensare qualcosa di diverso. Peraltro in questo territorio per manovalanza capace di fare queste cose non ci sono tante "aziende" che forniscono questo tipo di operai, ma solo una ed è la 'ndrangheta".

Ma la speranza c'è e non si spegne. Lo dice chiaramente Vincenzo Chindamo: "Io non conosco i fatti investigativi, il procuratore si è espresso dicendo che qualcuno ha deciso la vita e la morte e che si cerca un corpo, mi baso su questo e la verità è cruda. La speranza di poterla ritrovare c'è, fin quando non c'è un corpo Maria è, non era".